Il giorno della lettera F di Lelia Paolini

Il giorno della lettera F di lelia paolini

Il primo ottobre di oltre quarant'anni fa è stato il mio primo giorno di scuola. 

Varcai la porta della classe 1aB  provando una strana emozione, un misto fra spavalderia e ansia: mi sentivo sicura e superiore ai miei compagni perché sapevo già leggere e scrivere. D'altro canto mi risuonavano in testa le parole di nonno Ferdinando che mi aveva raccontato di possibili e atroci punizioni che toccavano ai ragazzini mancini: mani sinistre legate dietro la schiena, inginocchiamenti su ceci o altre graminacee, ore e ore passate in piedi dietro la lavagna. Le maestre erano severissime con chi peccava di mancinismo !!! 
La prima cosa che notai entrando nell'aula fu che la lavagna era appesa al muro. Fra perplessità e sollievo, pensai che avrebbero dovuto trovare qualcos'altro per farmi scontare la pena. Con un rapido sguardo in giro, vidi che anche il pavimento era sgombro da strumenti di tortura e sospirai rassicurata: le mie ginocchia erano salve! 
Presi posto in un banchino doppio accanto alla mia amica del cuore, Lavinia, già compagna alla scuola materna e già scongiurata di mantenere il segreto.  
I primi giorni se ne andarono tranquilli. Io riempivo le pagine del mio quaderno con file di a, di e, di i, di o e di u. Poi cominciarono le consonanti: io ero un po' più veloce degli altri perché, durante l'estate, mia cugina Rosita, fresca di diploma magistrale, si esercitava a fare la maestra con me e mi aveva insegnato a riconoscere e scrivere tutto l'alfabeto. 
Fu il giorno della lettera F che venni scoperta. Come suo solito la maestra Luana girava fra i banchi mentre noi alunni riempivamo le righe con la lettera scritta sulla lavagna. Quando la sentivo arrivare alle mie spalle, fingevo di fare una pausa e passavo la matita dalla mano sinistra a quella destra.  Il giorno della F, invece, mi accorsi di avere dietro la maestra quando ormai era troppo tardi. Mi sfilò il quaderno da sotto il naso e a passo lento, si avviò verso la cattedra, poi lo mostrò  al resto della classe. 
Gli occhietti perplessi e incuriositi dei miei compagni correvano, avanti e indietro, dal mio quaderno a me che ero seduta impietrita sulla seggiolina. Da sotto il banco Lavinia mi aveva preso la mano e me la stringeva forte. 
Poi la maestra fece di nuovo il giro della classe, sempre mostrando a tutti le mie F e la farfalla colorata disegnata in cima al foglio. Poi dopo un tempo che mi parve infinito, arrivò da me, riposizionò il quaderno sul mio banchino e tornò alla cattedra. 
"Avete visto tutti il quaderno di Egle?" chiese con voce sinistramente tranquilla. Appurato che tutte e ventitré le testoline avessero fatto segno di assenso, sorrise. "Bene". Pausa. "Allora sappiate una cosa" Doppia pausa. Ora dirà che è stato scritto con la mano del Diavolo, pensai disperata. 
E invece: "Sappiate che è così che dovete fare; disegno in alto alla pagina e letterine ben ordinate e dentro le righe." 
Non potevo crederci. Restai ancora impietrita, per lo stupore, per il sollievo, per la soddisfazione. Tornai alla realtà solo quando Lavinia mi chiese di lasciarle la mano che le stavo ancora stritolando. Ci sorridemmo e tornammo a infilare F sul foglio, una dietro l'altra, una fila minuscole e una fila maiuscole. 
Prima di uscire, la maestra tornò a complimentarsi con me, per la mia bella calligrafia e la mia precisione. 
Tornata a casa, corsi da nonno Ferdinando: ero estasiata e volevo renderlo subito partecipe dell'avvenimento. "Sai nonno, la maestra ha scoperto che sono mancina, ma non mi ha messo in punizione. Anzi ha mostrato il mio quaderno a tutti e ha detto che era il migliore della classe! E poi mi ha detto che per essere mancina sono molto precisa e ordinata!" 
Mio nonno sorrise, quasi commosso. Avrei pensato che si sentisse un po' confuso o  quasi contrariato. Da sempre, cioè da quando potevo ricordare, mio nonno aveva intrapreso una lotta affettuosa ma tenace contro il mio mancinismo. Mi aveva tenuto teneramente la mano sinistra provando a farmi mangiare o disegnare con la destra. Quando gli chiedevo perché, per lui, era così brutto essere mancini,mi diceva che ai suoi tempi tutti venivano corretti e che tutti gli oggetti erano stati fatti per essere usati da destri, quindi mi sarai trovata in difficoltà, in futuro. Una volta lo sentii dire a mia madre: "Egle è proprio mancina! Non si può fare nulla per farla diventare almeno ambidestra?".
E ora, invece, era lì con un sorriso sereno e felice, così come ero io, serena e felice. Mi abbracciò e disse sincero: " Brava Egle, sono molto contento per te!"
Da quel giorno, il giorno della lettera F, sul mio essere mancina, nonno Ferdinando, non disse più una parola.  

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